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7 Opere Spirituali

1. Consigliare i dubbiosi

La prima opera di misericordia spirituale è, dunque, quella di ammaestrare gli ignoranti nelle cose divine che ognuno è tenuto a sapere, e che sono neces-sarie al profitto spirituale dell’anima e all’eterna salute. Questo è un atto di gran merito, a cui alcuni sono tenuti per giustizia, altri per carità. Per giustizia, parlando solamente di ciò che i superiori sono tenuti ad insegnare ai loro sudditi: cioè, insegnare la pratica osservanza della legge divina, della santa Regola e di tutte quelle altre cose che favoriscono l’acquisto delle virtù, convenienti al proprio stato. Chi, tenendo il posto di superiori, non volesse prendersi cura, qualora ce ne fosse bisogno, di ammaestrare, di indirizzare i suoi subalterni all’adempimento perfetto dei divini precetti e dei doveri del proprio stato, sarebbe – dice S. Paolo – peggio di un infedele, perché, avendo la fede, ne trascurerebbe i doveri. Tutti gli altri, poi, sono tenuti a far questo per carità verso quelle persone che conoscono averne bisogno, e che da altri non possono essere istruiti. Questa obbligazione di ammaestrare chi ne ha bisogno nelle cose divine, può essere anche grave, quando chi ne ha bisogno si trovasse in tali circostanze che, se noi ricusassimo di istruirlo, resterebbe per sempre ignorante in materia religiosa.

2. Insegnare a chi non sa’

La seconda opera di misericordia spirituale è di ammonire i peccatori. Anche qui, limitandoci a ciò che spetta a noi, si distinguono due tipi di correzioni.
Una si dice paterna, ed è quella che fa chi ha autorità sopra il colpevole, perché gli è superiore, ed è ordinata, non solo all’emendazione del difettoso, ma anche al bene comune. Sono tenuti, per giustizia, tutti quelli che hanno autorità, ogni volta che scorgono nelle persone a loro soggette dei difetti notevoli, soprattutto se questi difetti fossero tali che turbassero la pace e portassero il disordine in tutta la comunità. Ad esempio, se una religiosa mostra simpatia più per una che per un’altra consorella; se coltiva particolari amicizie, formando combriccole e gruppetti, ritirandosi poi in disparte a ragionar tra loro, in segreto, e cose simili: questo sarebbe proprio nuocere alla comunità. Tale correzione di questi e simili difetti, i superiori, che devono, per stretto obbligo di coscienza, vigilare sul buon andamento della casa, sono obbligati a farla senza alcun riguardo e fare anche (quando vi sia bisogno) qualche severo rimprovero per estirpare, nelle loro suore, le radici di questa diabolica zizzania che è la vera peste della famiglia religiosa. Questa, dice S. Agostino, citato da S, Alfonso de’ Liguori nella sua « Monaca santa », converte i sacri ritiri da case di Dio in case del diavolo; da luoghi di santità in luoghi di perdizione.
La seconda specie di correzione si chiama propriamente ammonizione fraterna, alla quale, per comando di Gesù Cristo stesso, è tenuto ogni cristiano. « Se il tuo fratello sbaglia – dice S. Matteo – va e correggilo fra te e lui solo, in segreto. Se egli ti ascolta e riceve bene la tua correzione, tu hai guadagnata l’anima del tuo fratello. Se non ti ascolta, dillo ai superiori ». E questa correzione fraterna si deve anche fare per legge naturale di carità. Questa ci obbliga a soccorrere il prossimo nostro quando è caduto in qualche grave miseria. E quale miseria più grave che cadere in peccato, sia pure veniale, il quale ci priva dei beni incomparabili della grazia e diminuisce in noi il fervore? E’ da notare che quest’atto della correzione fraterna, obbliga solamente quando vi sono le dovute circostanze di tempo, di luogo, di modo. Quando dunque siamo tenuti a correggere il nostro prossimo? Quando siamo certi ch’egli è caduto in peccato e quando si sono vagliate le conseguenze che ne potrebbero derivare; quando cioè, c’è probabile speranza che la persona da correggere, una volta che sia da noi avvisata e corretta, si emendi. Se si prevedesse invece che la correzione non servisse ad altro che ad inasprirla maggiormente e a farla cadere in nuovi difetti, allora si dovrebbe tralasciare. Così pure, noi siamo tenuti sotto pena di colpa a far la correzione fraterna, quando vediamo che il prossimo non si emenderà, se non sarà corretto, e che per fare la correzione non ci sono altri che noi, o, se vi sono, non la vogliono fare. In ogni caso, però, bisogna farla sempre con carità, prudenza e al momento opportuno. Con carità: vale a dire senza passione, senza avversione, con il solo fine di giovare al fratello e salvarlo dalla colpa. Con prudenza: avendo riguardo al temperamento e alla condizione sua, adoperando le maniere più adatte e più proprie per guadagnarlo a Dio. Al momento opportuno: scegliendo il luogo e il tempo più adatto, ora usando parole alquanto forti, ora usando parole dolci, ed usando anche le preghiere. Ordinariamente occorre usare sempre preghiera e dolcezza, perché queste tutto possono e piegano anche i cuori più duri.

3. Ammonire i peccatori

La terza opera di misericordia spirituale è quella di dare un buon consiglio a chi ne abbia bisogno. Questo è l’atto di carità con cui si esorta, si persuade, si prega, s’indirizza il prossimo a far qualche bene che non farebbe, o a fuggir qualche male che commetterebbe, se non gli si desse quel buon consiglio. Conviene, però, avvertire che, come non è tenuto a far elemosina chi è povero e non ha modo di farla, oppure non c’è chi ne abbisogna, così non sono tenuti a dar consiglio quelle persone che non hanno capacità né cognizioni sufficienti, anzi, quand’anche fossero ricercate, non si devono rischiare a darlo per il pericolo di sbagliare, specialmente se si trattasse di materia difficile, come sarebbe la legge divina e la direzione delle coscienze, per le quali cose si deve ricorrere ai ministri di Dio, ai sacerdoti, essendo essi coloro che devono interpretare e spiegare le leggi e dirigere le coscienze. Tra questi, non scegliere i confessori più faciloni e i più benigni, quelli cioè che conducono per la via larga e che favoriscono la libertà e l’amor proprio, ma scegliere quelli che ci aiutano a combattere le nostre passioni, e ci impegnano a rinnegare la nostra volontà, a camminare sulla via stretta dell’obbedienza cieca a chi comanda, e della santa umiltà che di nulla mai si lamenta; questa via secondo la dottrina di Gesù Cristo, è quella che conduce alla gloria del Cielo, quantunque pochi sappiano percorrerla.

4. Consolare gli afflitti

La quarta opera di misericordia è di consolare gli afflitti e i tribolati. Si hanno due sorta di afflizione d’anima e di corpo: tutte e due hanno bisogno di consolazione e di conforto. Le afflizioni dell’anima, che d’ordinario sono le più acerbe e le più penose, sono: le tentazioni che vengono o per impulso di istinti o per arte del demonio; e le angustie, le aridità, le tristezzze, i tedii, le desolazioni di spirito, che, talvolta e così gravemente, opprimono le anime specialmente più timorate e pie, per cui si sentono stimolate a far atti di diffidenza e di lamento contro Dio. Queste sono le persone più afflitte, che si devono consolare per obbligo di carità fraterna, animandole a sopportare, sempre, tutto con umiltà e paziente rassegnazione, ad esempio di Nostro Signor Gesù Cristo, il quale in vicinanza della sua passione, stando nell’orto degli ulivi, fu anch’Egli oppresso da timore, da tedio, da tristezze così forti, che cadde in agonia e sudò vivo sangue. Sulla croce poi, per meritare a noi la sua grazia, fu abbandonato, con suo immenso dolore, da tutti i soccorsi della divinità; ma tanto nell’uno come nell’altro caso, sopportò tutto con grandissima pazienza e umile rassegnazione alla volontà del divin Padre, che così lo voleva tormentato per nostro amore. Si devono poi, per carità cristiana, consolare quelli che sono oppressi da afflizioni temporali che riguardano il corpo. Un fallimento, per esempio, ha rovinato la posizione economica di quel vostro conoscente, oppure un furto od una grandine priva quell’altro delle sue sostanze. Noi dobbiamo consolarli, mostrando che le cose terrene non sono da mettere a confronto con le celesti e, perché si stacchino col cuore da quelle, forse Dio ha permesso questa disgrazia. Un altro piange, perché la morte gli ha rapito uno dei suoi cari. Noi dobbiamo consolarlo, dicendogli ch’egli ha raggiunto quello che noi un giorno dovremo raggiungere. E’ lecito piangere, ma si deve pensare che l’anima è andata a godere il premio che Dio le aveva preparato: ora gode del suo Dio e noi siamo ricordati da lei. Un altro si trova aggravato da penosa e lunga infermità. Consoliamolo col dirgli che questa, essendo mandata da Dio, non può che essere per il suo bene: giova alla purificazione delle colpe e a farci dei meriti per il cielo. Così andate discorrendo di ogni altra sorte di tribolati, a cui si deve dare conforto.

5. Perdonare le offese

La quinta opera di misericordia spirituale è quella di perdonare le ingiurie e le offese ricevute da altri. E qui, intorno all’obbligo che tutti abbiamo di perdonare sinceramente, di cuore, a chiunque ci offenda, in qualsiasi cosa, tanto con ragione come contro ragione; io, per non dilungarmi troppo, mi limito a richiamarvi alla memoria quello stesso che Gesù Cristo ci lasciò scritto nel suo Vangelo, là dove parlando a tutti i suoi seguaci, disse loro:

« Se voi non perdonerete ai vostri offensori, nemmeno il vostro Padre celeste perdonerà a voi i vostri peccati. Nella stessa maniera con cui avrete trattato il vostro prossimo, sarete trattati pure voi, davanti al mio tribunale ». Di qui derivano due conseguenze:

1) non basta che il nostro perdono sia a parole, ma occorre che sia di cuore, che non conservi avversione per nessuno.

2) Il Signore, come sapete, si diporterà con noi, come noi ci siamo diportati con i nostri prossimi.

6. Sopportare pazientemente le persone moleste

Finalmente la sesta opera di misericordia è quella di sopportare pazientemente le persone moleste, cioè i nostri fratelli per i loro difetti. Questi difetti che dobbiamo noi compatire nel prossimo possono essere per cose naturali o morali. Dobbiamo avere per tutti compassione e tolleranza. Quella inferma ad esempio, è troppo esigente, non è mai contenta, si lagna continuamente, benché a torto; quell’altra è fastidiosa, trova a ridire su tutto, niente va mai bene per lei; questa ha un carattere sofistico e altero; l’altra usa villanie; quell’altra fa il broncio e non parla; ebbene, abbiate pazienza, non vi risentite, non vi adirate, non vi offendete; solo con la dolcezza e le buone maniere riuscirete a farle ritornare al loro dovere e a indurle ad emendarsi.

Del resto, offrite ogni cosa in penitenza delle vostre colpe. E come il Signore sopporta le nostre deficienze: tiepidezza, negligenze, imperfezioni e peccati; non vorremo noi tollerare nei nostri prossimi un piccolo difetto? Riflettiamo ai meriti grandi che, con questo atto di carità, potremo acquistare presso Dio; essi sono tali e tanti che S. Bernardo diceva che se in una comunità, in una casa, non ci fosse qualche persona fastidiosa da sopportare, bisognerebbe andare a cercarla e pagarla anche a peso d’oro. Dobbiamo pure tollerare e compatire i difetti morali più noti del nostro prossimo. Se qualche infelice, diceva San Paolo ai Galati, cadesse, per sua disgrazia, in qualche peccato, voi, che fate professione di pietà, non fate le meraviglie, abbiatene compassione con spirito di carità e di dolcezza: guardate, se potete, ricondurlo sul retto sentiero. Sì siamo tutti peccatori; se non cadiamo in certi peccati in cui cadono i nostri simili, è perché Dio ci tiene la mano sul capo e non ce lo permette; del resto, se Dio ci abbandonasse alla miseria del nostro nulla, saremmo anche noi capaci di commettere tutte le iniquità del mondo. Amen.

7. pregare Dio per i vivi e i morti

Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e goderlo per sempre in paradiso, e cioè per vivere sempre in comunione con lui. Ognuno di noi lo prega dall’intimo del cuore, perché sa che Dio, suo creatore, è un padre buono e fedele ai suoi progetti e alle sue promesse. La settima opera di misericordia spirituale c’invita a rivolgere a Dio una preghiera tutta particolare che ci sta molto a cuore, cioè la supplica e l’intercessione in favore dei vivi e dei defunti. Quando la nostra domanda viene fatta nella viva fede di essere esauditi, e nel nome del Signore Gesù, nostro salvatore, e secondo la volontà del Padre celeste, che vuole solo il nostro bene, allora siamo sicuri che la nostra preghiera sarà ascoltata. Come e quando non lo sappiamo, però siamo certi che Dio non delude mai, se no non sarebbe Dio. Pertanto dobbiamo ringraziare sempre anche prima di avere ricevuto la grazia richiesta. Il cristiano possiede le primizie dello Spirito Santo, dono del Padre e del Figlio Gesù, tanto che il suo corpo è tempio vivo dello stesso Spirito. Per questo egli è figlio di Dio e pertanto vive nella sicura speranza della risurrezione per la vita eterna. Già ora crediamo e amiamo così, anche se dobbiamo dibatterci, ogni giorno, nella condizione dolorosa della nostra fragilità umana. Un giorno sarà piena e felice libertà per noi e per i nostri cari. Quando preghiamo parliamo con Dio, ci accostiamo a lui, e poiché lo facciamo con Cristo, noi stessi diventiamo “preghiera”, e siamo il “gemito ineffabile” dello Spirito Santo che in noi grida: “Abbà, Padre” (Rm 8,15). Quando preghiamo mettiamoci in sintonia con lo Spirito Santo per portare a compimento il progetto del Padre che vuole la salvezza di tutti gli uomini (1 Tm 2,4). E poiché, a volte, non sappiamo domandare quello che ci conviene, allora lasciamo che lo Spirito Santo stesso “interceda con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26).

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